Le opere di Raul Gabriel sono sculture pittoriche la cui essenza è l’interazione della materia con la realtà circostante. Bitume, acrilici, vernici, tele e polistiroli esposti a fenomeni di corrosione che si fondono con il tempo e gli agenti atmosferici.
Nato nei pressi di Buenos Aires, Raul si dedica inizialmente alla sperimentazione con la musica jazz. È soltanto al rientro da un viaggio in Bogotá che trova nell’arte una dimora, e il piacere di riscriverne le regole.
Raul è un artista passionale la cui produzione artistica mi ha colpito perché desta nell’osservatore quesiti filosofici complessi. C’è una natura processuale profonda, ed enigmatica, di mutazione nella pittura – così come nel corpo, a cui la sua ricerca si ispira – mossa da un punto di vista di identità biologica della realtà.
Il linguaggio di metafisica, chimica, filosofia, simboli, misticismo, natura e tecnica si traducono in un’equazione di saturazioni cromatiche, grafite, resine, che lasciano spazio a una metafora esistenziale, tra figurazioni e l’assenza di rappresentazioni materiali.


Il tema dell’identità è ricorrente, come parte integrante di noi. Dalle nostre chiacchierate emerge il pensiero di Raul: “A volte viviamo la conseguenza di un conflitto d’identità perché opponiamo resistenza a essa, tentiamo di smussarla, addomesticarla, gestirla. L’identità è qualcosa che possiamo nascondere o rivelare, accettare o negare, ma non a noi stessi. Io sono il luogo, e come un diapason risuono nella mia identità.”
Nell’esposizione Cerchi di Grana (2007 Roma, Galleria Pino Casagrande), geometria, alchimia e metafisica si uniscono a richiami di quotidianità e si allineano all’idea che nulla è mai come sembra. Raul parte dal semaforo come oggetto di tutti i giorni che sta a indicare un’imposizione di divieto, per tramutarlo a una riflessione sul cerchio come forma-simbolo. Basti pensare alla ciclicità in natura, negli stati interiori, e negli oggetti di utilizzo quotidiano (piazze, tazze, piatti, orologi, collane). Al centro della sala l’opera Gothic Vespa, lo spettro di un motorino distrutto dalla fiamma ossidrica, ricorda il paradosso del tempo e il senso di unità delle cose.


Con Sinopie (2014 Milano, MUDI sala Lucio Fontana), il discorso sulla dimensione spirituale-immagine-materia, che da sempre costituisce ambito di ricerca nel percorso artistico di Raul, si addensa. L’ispirazione prende spunto dalla Via Crucis Bianca di Lucio Fontana. La luce (e la totale oscurità), con il suo valore essenziale, viene osservata come metafora di percorso esistenziale: in essa o in assenza di essa.
In Virtual Apraxia – Gli Incidenti di Raul Gabriel (2014 Milano, The Format Contemporary Gallery), gli eventi sono visti come sinonimo di intrecci di relazioni in divenire, attraverso una riflessione sulla coscienza. Lo sguardo è concentrato sulla relazione tra necessità e libertà, e la convergenze effettiva tra le due. La differenza o similitudine tra il gesto personale e il processo tecnologico: un’immagine e una creazione in 3D, nonostante la loro sostanziale differenza, sono entrambe manifestazioni di corporeità.
Durante The Glorious Nothing (2017 Milano, Fondazione RIVOLIDUE, Teatro Pacta Salone), il muro esterno del teatro PACTA diventa parte dell’opera stessa. All’interno, l’esposizione dei polistiroli (sopracitati), lascia intravedere forme appena accennate; il resto sembra essere a carico della nostra immaginazione. Raul infatti presenta il suo concetto di libertà, ovvero il suo apparente contrario: il non avere nulla. Il non possedere nulla è per lui la vera condizione di libertà.

Arte che diventa “corpo vivo” con LUCEBUIO (2017), dove la dinamicità di un processo mobile, dato dalle colate controllate di vernice, viene catturata nella serie Black Paintings e White Paintings.


Nei Black Paintings, il nero è visto in chiave di fenomeno luminoso attraverso la rifrazione della luce sulla materia. Composta da uno smalto rappreso e corrugato in superficie, i gradi di lucidità, opacità e intensità variano a seconda di dove ci si pone rispetto alla tela. I White Paintings, più grumosi e corpuscolari, dalla massa voluminosa e opaca. Paradossalmente, per quanto i neri riflettono la luce, i bianchi funzionano per il concetto inverso. Emblematico anche il luogo scelto per l’allestimento della mostra; l’ex Cotonificio Dellepiane, un tempo area produttiva economica caduta in disuso, e la speranza che possa tornare nuovamente a essere un punto nevralgico e attivo per dialoghi e incontri.

Ci diamo appuntamento un pomeriggio nel suo studio, dove ad accogliermi all’ingresso c’è uno scooter bruciato. Un po’ perplessa e un po’ incuriosita mi addentro. Ai tempi non ero al corrente che quello fosse uno dei lavori che racchiudeva in sé una delle tecniche artistiche preferite da Raul. Appena mi accomodo mi mostra uno dei suoi primi video girati a Berlino; subito iniziamo a parlare di un’infinità di discorsi interessantissimi e prima che me ne accorga sono passate due ore.
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WHY
come e perché ti sei avvicinato al tuo percorso?
Senza una ragione. Io stesso mi faccio ancora domande a cui non ho risposta. Sono determinato alla non-ragione che parte dalla spinta interiore. In queste cose il cervello arriva dopo. Sono partito dalla musica, suonavo jazz, poi una volta rientrato da un viaggio a Bogotá sono stato risucchiato nella pittura. Sapevo che era la mia casa, ma non sapevo ancora in quale modo esattamente. Non ho opposto resistenza, anche se non sapevo dove sarei andato a parare… è stata the irresistible force. Milano la conoscevo per la musica, non per l’arte. Io sono l’energia primitiva della pittura, quella che non si sceglie. Dove ti porta la qualità non lo scegli ma d’altronde non scegli nemmeno il destino. Se opponi resistenza a questa forza radicale e ignota rischi di vivere forse più sicuro in apparenza, ma in realtà già morto prima di uscire dal numero dei vivi, per citare Seneca.
WHO
come ti descriveresti in poche parole?
Energia. Finchè c’è energia Io ci sono, quando non c’è più energia non ci sono più.
WHAT
qual’è la tua fonte di ispirazione?
L’energia. Per energia intendo una forza concreta. Non una forza eterea, ma una forza corporea. Una forza tangibile, che si può pesare. Non intesa come un qualcosa di distaccato dal corpo. Il corpo è energia, e l’energia è corpo, ma quasi sempre viviamo le due entità come divise. Invece sono due parti della medesima corporeità. L’energia è parte di questo corpo, è espansione di questo corpo. Realizzare un’opera è come creare una Gabbia di Faraday che cattura l’energia del fulmine. La struttura rigida diventa improvvisamente vibrante. Quello per me è un’opera, qualunque forma prenda.
Senza la gabbia l’energia si disperde e la gabbia senza energia è puro esercizio formale. Mi definirei un rabdomante delle gabbie d’energia
WHERE
dove vai quando hai bisogno di una pausa?
Per me non c’è pausa. Esiste il flusso. La mia personale “Filosofia del 25”. Nella mia permanenza a Londra, ho avuto per anni uno studio a Bow Church. Alle 9 di mattina, incappucciato come i tanti hoodies dell’East End, prendevo l’autobus 25 che mi portava a White Chapel. Un viaggio lungo, lento e senza senso in contemplazione del mondo che va. Lo osservavo, respiravo…senza far parte del suo fatale processo produttivo. Il punto di arrivo era un bar, improbabile, frequentato da builders e dockers. Lì seduto a un tavolino sghembo dove arrivava anche un po’ di sole, ascoltando Magic London 105.4 osservavo la banalità della città nella sua gloria con tutti i suoi processi. Pura contemplazione. Quando la decantazione della inutilità, così perfetta e contaminata terminava, ero pronto per tornare in studio.
Il mio primo collezionista anni fa mi disse che ero come uno che guarda il mondo dall’oblò. Non lo avevo compreso, ma ora so esattamente cosa significa. L’artista-poeta deve essere un po’ come i Pariah Indiani, dentro la realtà ma al tempo stesso totalmente fuori da essa.
WHEN
quando e quali saranno i tuoi prossimi passi?
Non lo so. Non mi pongo il problema. Il mio metodo è l’attesa, Io aspetto. Le cose quando si rivelano succedono. Le cose migliori vengono fuori quando vengono fuori. Grande condanna e grande libertà.
**WILDCARD
se la tua personalità fosse paragonabile a una tecnica artistica, quale sarebbe e perché?
Destrutturare la forma per individuarne un’altra. Come la Gothic Vespa che ho bruciato per metà. In natura la distruzione fa paura ma è solo una parte del ciclo vitale. E sempre prepara nuove e sorprendenti rinascite. Per fare l’olio devi mettere le olive nella macina ad esempio, che in realtà è un processo drammatico. La storia è piena di tragedie tremende in cui l’unico riscatto possibile per l’uomo perseguitato e schiavizzato è stato liberarsi attraverso una visione, una invenzione, la musica, la scrittura, l’arte. Queste hanno poi ribaltato la storia.
Io sono disgrafico, ovvero, tendo a storpiare le lettere nella scrittura, il loro farsi è per me anche il loro modificarsi seguendo forze che la mano sa ma non il cervello. Nella pittura questo è diventato segno che trasforma e rivela continuamente nuove strutture. La pittura è diventata così il prolungamento naturale della mia stessa fisicità nel produrre scrittura. C’è sempre un processo di trasformazione in queste forme. Il ciclo di distruzione-ricreazione è parte di noi. Noi siamo processo vivo; le cellule si rigenerano e muoiono ogni istante. Anche la memoria funziona allo stesso modo. L’arte è come il corpo. Processo vivo in continua fuga.