Seguo le inaugurazioni della Galleria Patricia Armocida fin dai tempi in cui si trovava in Via Lattanzio 77. Ho sempre trovato che parlassimo lo stesso linguaggio, e che lo spazio esponesse una scena diversa rispetto a ciò che solitamente Milano propone dal punto di vista artistico.
Uno scorcio su quella scena, progressivamente più frequente, dell’arte contemporanea indipendente, che se prima correva sul filone dell’underground, oggi esprime una sintassi più evoluta dei medesimi codici. Al di fuori dei circuiti comuni e convenzionali, la Galleria propone un’espressione visiva che stabilisce un dialogo continuo con l’ambiente urbano circostante.
Ai tempi non sapevo chi fosse la donna precorritrice e determinata, che con la sua tenacia avvicinò la città di Milano a questo movimento: Patricia Armocida. L’inaugurazione del suo primo spazio in Piola nel 2007 fu l’occasione in cui portò in Italia per la prima volta i fratelli brasiliani OSGEMEOS, tra i più riconosciuti nel campo a livello internazionale. Il loro enorme murales Efêmero, parte del progetto “Outside the Cube”, riveste oggi la facciata monumentale dell’Hangar Bicocca, proiettando il contesto locale in un viaggio immaginario.
Patricia muove i suoi primi passi come responsabile vendite per “Urban Edge“, una grande mostra in cui erano coinvolti 50 artisti nazionali e internazionali, ma è soltanto dopo il brivido della prima vendita di un’opera di Shepard Fairey – in arte OBEY – raffigurante Noam Chomsky, che diventa consapevole di essere sulla strada giusta.
Successivamente lavora da Emi Fontana e dopo qualche mese diventa assistente di Giuseppe Pero presso la Galleria 1000eventi. Entrata in questo mondo con la certezza di aprire un giorno la sua galleria personale, già allora maturava in lei l’idea di voler inaugurare il suo spazio futuro con il duo brasiliano che seguiva da anni.
Il resto è storia.
Nel gennaio 2016 Patricia inaugura il nuovo spazio in Via Argelati con “Previously” una rassegna di alcune delle opere più rappresentative di ciascun artista che ha esposto presso la galleria, mentre nello stesso anno espone artisti dal calibro di Eron, Maya Hayuk, Cleon Peterson, Francesco Igory Deiana, Revok e MODE 2.
Tra il 2017 e il 2018 sono stata spettatrice di una selezione più ricca e raffinata che mai. “Objecthood” dove libri abbandonati e inutilizzati diventano per Jukhee Kwon i protagonisti di opere che colmano la galleria con l’odore di carta, di senso e parole.
I Calligraffiti in “Tradizione Proverbiale” di eL Seed, a testimoniare la malleabilità totale della scrittura araba filtrata dall’immediatezza dell’arte urbana francese.
Nuria Mora con le ricerche cromatiche astratte che catturano la vista nella sua prima personale italiana “Drishti” (immagine di copertina). Ellie Davies e i suoi magici universi nebulosi nelle foreste inglesi in “Nebulae”.
Nell’attesa di scoprire quali novità sono in serbo per noi visitatori, decido di contattarla. Mi trovo a interagire con una donna dalla personalità forte, decisa e di una limpidezza incredibile.
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WHY
come e perché ti sei avvicinata al tuo percorso?
Dopo la laurea a Bologna in Storia dell’Arte sono venuta a Milano e, per una circostanza fortuita, mi sono trovata a collaborare come stagista in uno spazio a cui mi sono proposta e dove conoscevo gli artisti esposti anche personalmente.
Oltre alla logistica ero stata affidata alla cura degli artisti dal punto di vista operativo, per spiegare al pubblico le biografie e le opere esposte. Molto naturalmente, semplicemente raccontando le opere e consigliandole, ho incominciato a vendere. All’epoca avevo consigliato a un acquirente un pezzo originale di Shephard Fairey (in arte OBEY) che adesso vale 10 volte tanto se non di più.
In quel momento ho capito che avevo un talento che non sapevo di avere. Raccontavo con amore quello che stavo presentando ed è così che è venuta fuori questa mia dote. Non aveva la percentuale sulle vendite, ma dopo averlo venduto sentivo le farfalle nello stomaco. Ho compreso che era la direzione che volevo prendere e quindi ho realizzato che dovevo fare gavetta in gallerie importanti private.
Sempre come stagista inizio a collaborare da Emi Fontana. L’assistente era bravissima; mi ha trasmesso la comprensione di come funziona il mercato e come relazionarsi con le varie figure che ruotano attorno a una galleria. Dopodiché, spunta l’occasione di fare da assistente a Giuseppe Pero. Sapevo già di voler aprire la mia galleria un giorno, cosa che avevo detto anche a lui e nei 3 anni successivi lì ho imparato tantissimo.
A 30 anni ho deciso di procedere, e lui era contento e orgoglioso di me, mi ha seguito ed è tutt’ora molto contento perché ho sempre seguito uno stile coerente e che mi caratterizza.
Con l’apertura della mia galleria volevo colmare il vuoto nel sistema milanese. Gli artisti che cercavo di rappresentare sono artisti che fanno parte di una scena mondiale che negli anni 80-90 è esplosa. Tutta quella scena indipendente, di cultura legata alla musica, allo sport, e a un’estetica ben precisa. In Italia non era ben rappresentata.
A Milano e Bologna facevo parte di questa scena culturale perciò ho deciso di fare una selezione ben precisa di artisti all’interno di questa cultura. I primi con cui ho aperto, OSGEMEOS – a cui sono molto vicina – erano estremamente famosi in gallerie e musei importanti e in Italia non erano mai stati rappresentati. Ho deciso quindi di portare in Italia una scena e un’immaginario che non aveva nessuna galleria di riferimento. Uno stile fresco e innovativo.
WHO
come ti descriveresti in poche parole?
In poche parole è difficile. Curiosa sicuramente, piena di passione, idealista, una sognatrice. Cerco di essere scrupolosa e professionale nel lavoro e direi anche trasparente.
WHAT
qual’è la tua fonte di ispirazione?
Sicuramente un gallerista che mi ha ispirato e ha ispirato anche il mio percorso, che non conosco ma stimo per quello che ha realizzato in Italia negli anni 60, è Gian Enzo Sperone. Aprì la prima galleria a Torino nei primi anni 60 e poi a Roma, New York e Lugano. Sicuramente è una persona di riferimento che ha importato la Pop Art nel momento in cui si stava sviluppando a NY, e il primo a portarla in Italia.
Voleva essere uno scrittore ma poi è diventato gallerista. Ha portato una scena in cui è cresciuto a Torino che poi lui stesso ha esportato: l’Arte Povera.
Per quanto riguarda la linea della mia galleria, è una persona che mi ha colpito perché è riuscito a portare in Italia quello che succede negli Stati Uniti e vice versa… un pioniere per diversi movimenti: ad esempio il minimalismo nel periodo d’oro. Ha avuto la visione per portare quello che accadeva nel momento in cui stava succedendo. Leggere la sua biografia è stato molto stimolante.
WHERE
dove vai quando hai bisogno di una pausa?
Al mare. Ma quando non è possibile scelgo la lettura di un libro per i miei momenti di pace: un buon libro e un buon bicchiere di vino.
WHEN
quando e quali saranno i tuoi prossimi passi?
Cerco sempre di portare artisti che espongono per la prima volta in Italia. Adesso sta esponendo un’artista inglese Ellie Davis, mentre la prossima sarà un’esposizione dell’artista coreana Yu Lim. Durante il mio ultimo viaggio a NY ho scoperto un’artista canadese che abita a Brooklyn; ha uno stile molto fresco, ed è emozionante vedere i suoi lavori, perciò vorrei portarlo qui per la prima volta.
**WILDCARD
se potessi avere un tête-a-tête con un personaggio (attuale o del passato) con chi lo vorresti e perché?
Una persona che purtroppo non c’è più e che avrei voluto con tutta me stessa conoscere: Bruno Munari. Ha dato tantissimo su più campi con la sua intensa creatività: dal design, all’architettura, alla didattica… tutti i campi di espressione. Mi piacerebbe sentire cosa avrebbe da dire adesso, sicuramente qualcosa di brillante ma con leggerezza.